Silvia Magnani

La voce come oggetto del conoscere

Ogni volta che ci proponiamo di valutare percettivamente una voce non ci comportiamo come un analizzatore acustico, cogliendone con uguale rilevanza ogni elemento, ma come un turista davanti a un quadro o a un paesaggio.

Là dove il critico d’arte si ferma al particolare che gli permette l’attribuzione a questo o a quell’autore, là dove il topografo si interessa unicamente dell’intreccio stradale, noi cadiamo nella  consueta dicotomia di giudizio, la più umana possibile: mi piace, non mi piace.

Il primo momento della valutazione percettiva della voce, ci piaccia o no, è un giudizio psicopercettivo, perché la voce è una sensazione e come ogni sensazione per prima cosa provoca piacere o fastidio.

 

L’incontro con l’oggetto

Superato questo momento, che si avvera qualsiasi siano le nostre intenzioni, la valutazione evolve nel confronto effettivo con la voce,  l’oggetto percepito che, mentre si rivela, si nasconde.

Ogni percezione infatti non è l’acquisizione obiettiva di tutte le caratteristiche di un oggetto attraverso un’analisi sensoriale neutrale,quanto piuttosto la ricostruzione di un puzzle del quale non possediamo tutte le tessere e che, per sapere cosa rappresenta, dobbiamo immaginare  gli elementi mancanti.

L’oggetto infatti non si rivela mai nella sua interezza ma solo parzialmente.

Esatto, parzialmente, perché così come guardando un cubo non potremmo riconoscerlo come tale se non immaginassimo la faccia posteriore, nascosta ai nostri occhi, allo stesso modo ascoltando una voce non potremmo identificarla con la terminologia percettiva in uso se non ipotizzassimo che così come essa ci appare essa ci si presenterebbe in ciascun successivo momento. Nel caso del cubo per avere conoscenza certa dovremmo spostarci nello spazio, verificandone il retro. Nel caso della voce dovremmo spostarci nel tempo, verificandone la costanza della forma.

La conoscenza non è mai certa ma solo ipotetica. E questo è un primo problema.

 

 

Il soggetto

Non basta. Non solo dobbiamo essere consapevoli che nel caso della voce ciò che valutiamo è soltanto un intervallo temporale di un evento complesso, dobbiamo anche renderci conto che siamo arrivati  alla percezione, cioè all’incontro con l’oggetto, non vergini ma gravati dalle nostre ipotesi, dalle nostre aspettative e dai nostri pregiudizi, se non addirittura da una diagnosi fatta da altri, da un’immagine (che pretende di racchiudere in sé tutta la verità), dal nostro desiderio di trovare ciò che vogliamo trovare più che ciò che realmente c’è.

La percezione non è mai neutra, è sempre fortemente connotata dal soggetto che, credendo di essere un ascoltatore imparziale, già nell’appoggio dell’attenzione su uno o sull’altro sintomo, sceglie, valorizza e alla fine trova ciò che in alcuni casi lui stesso ha messo dentro.

 

 

La falsificazione didattica che nega la salienza percettiva

Nella didattica abitualmente si compie una falsificazione nella descrizione della metodologia di analisi percettiva, elencando ciò che si “deve” in successione rilevare in un  percorso progressivo di analisi. Ma l’ascolto non è una scannerizzazione di territorio.

L’ascolto ecologico, quello che invece davvero si fa, nello studio foniatrico o per la strada, avviene  in tutt’altro modo: si percepisce inevitabilmente sempre secondo un criterio di salienza percettiva.

Il concetto di salienza percettiva merita un approfondimento.

La salienza percettiva nella voce, a differenza di ciò che accade per altre fonti di suono o rumore, non ha niente a che fare con l’intensità in decibel del sintomo presentato. In ambito diagnostico la salienza non ha mai il significato di preminenza sensoriale. E’ saliente in patologia vocale

  1. un sintomo che non mi aspetterei (ecco che torna l’incontro tra il soggetto, con le sue aspettative, e l’oggetto come punto di deflagrazione della diagnosi): criterio di novità
  2. un sintomo che nella mia esperienza (ancora il background del soggetto!) è indicatore di una patologia grave: criterio di gravità
  3. un sintomo che non si integra nel panorama sintomatico (cioè che si presenta estraneo agli altri, che non è consonante): criterio di disarmonia

Nonostante quindi, di fronte a una cartella di valutazione percettiva, si proceda per ambiti, partendo dalla prosodia, per andare alla qualità della fonoarticolazione, per finire con i sintomi distrettuali (glottici, vocal tract, ecc.), la mente si prende gioco del nostro desiderio di ordine e sistematicità e ci porta immediatamente a seguire i criteri di salienza, facendoci decidere, a dispetto di qualsiasi protocollo, cosa è significativo e cosa non lo è.