Silvia Magnani

L’arte della gentilezza

Al cor gentil rempaira sempre amore come l’ausello in selva a la verdura

Il Guinizzelli mi viene in mente questa mattina mentre provo un intenso senso di benessere liberando da tazza e piattino il mio tavolino del bar per lasciare posto a una ragazza che viene avanti con il proprio vassoio.

Per la prima volta, mentre aiuto ad appoggiare una colazione che non è la mia, mi accorgo che il poeta è maestro: è’ in quel verbo “reimpara” che sta il valore dell’essere gentile. La gentilezza non procura amore da parte delle persone verso le quali la rivolgiamo ma bensì benessere a chi la pratica.

Perché si è gentili?

Mi vengono in mente molte risposte. Esiste una gentilezza che fa parte della buona educazione. Buone maniere, maniere gentili sono quelle che mi venivano insegnate nella mia infanzia: rituali di saluto, dare del lei agli adulti, rispondere sempre con garbo. Gentilezza è strumento di lavoro per molti: vendere, ospitare in albergo o al ristorante la rendono obbligata. Infine esiste una gentilezza manipolatrice, quella che dà per ricevere, che presta aiuto, sostegno, consiglio non in un legame di reciprocità ma nel progetto di vedersi ritornare moltiplicato il dato. Gentilezza manipolatrice, utilizzatrice dello stato di necessità altrui.

Gentilezza non è cortesia

Lo sapevano bene i poeti del Dolce Stil Novo. La cortesia è fatta di “maniere”, di modi di comportamento, di correttezza sociale, mentre la gentilezza accede al cuore e dal cuore viene.

Gentilezza è timida, sotto traccia, non si propone. Gentilezza anticipa o risponde.

In questo senso è frutto dell’attenzione all’altro, del coglierne i bisogni, l’impaccio, l’imbarazzo, con quell’occhio empatico che ci permette di sentire dentro di noi ciò che lui prova e, capendone la sofferenza derivata, porvi rimedio prima ancora che l’aiuto sia richiesto.

Gentilezza viene dall’aver provato il medesimo bisogno, disagio, dall’aver sperimentato uno stato di necessità e di non volere che altri lo provino. Nasce dalla conoscenza di se stessi, dalla comprensione profonda del proprio animo e dal dialogo continuo con le paure e le fragilità che lo abitano.

E’ riconoscimento della debolezza umana, consapevolezza di far parte di un destino comune.

Gentilezza fa bene al cuore

Questa riparazione che gentilezza dà non è la conseguenza della gratitudine di chi ne è stato oggetto. Il benessere nasce nell’atto stesso in cui la si pratica, in quella sensazione di partecipare a un progetto che non può che fondarsi sulla solidarietà e la collaborazione tra le persone.

Questa consapevolezza è la base di quel tipo di amore che chiamiamo agape e che forse è la modalità più onesta di amare.

Gentilezza mentre dà all’altro dona a noi consolazione e fiducia.