Silvia Magnani

Chi ti obbliga nei negozi ad ascoltare musica non ama la musica e non ama neppure te

Immagino di dovermi considerare fortunata se, entrando alla Fondazione Feltrinelli, sono accolta da una musica a “solo” 68 dB. In fondo non è più intensa del rumore del traffico per la strada.
Altre volte la musica arrivava a 75, 80 dB e perfino per poter parlare con mio marito dovevo urlare. Tempi felici della inaugurazione, fortunatamente superati!

Curiosando tra i nuovi  usciti mi chiedo perché in un negozio che vende libri, dove entro per riposarmi e cercare qualcosa, appunto,  da leggere (libreria… il nome parla da solo) io debba comunque essere accolta da una musica, riprodotta a intensità maggiore dei valori che sono propri della voce di conversazione e, soprattutto, scelta da altri.

Perché io, che amo la musica, che rispetto la musica, che la scelgo, che la sento seduta in poltrona, in una sala da concerto, devo trovarmela buttata addosso come se la musica non avesse alcun valore, come se io, in quanto ascoltatore, non avessi alcun valore, alcun gusto e mi si potesse propinare di tutto, senza mia scelta, senza sentire il mio parere, senza sapere i miei gusti. Senza conoscere niente di me.

Senza capire quanta fatica mi costi ascoltare la musica.
Sì, perché  la musica per me è importante, non è uno sfondo, una distrazione per vincere la noia.

Ascoltarla è come leggere una poesia, vedere un quadro, capire un teorema. La musica mi impegna, mi obbliga.

Quando la ascolto ammutolisco di rispetto. Mi faccio attenta.

I miei neuroni si alzano dai loro giacigli e come soldati pronti alla battaglia stanno in allerta. Ha un costo tutto questo alla mia età, mi si deve rispetto.

 

Intenzioni che non comprendo

Forse chi decide di propinarmi questo, di costringermi a una ulteriore fatica mentre sfoglio libri, ha una seconda intenzione.

Non vuole che acquisti, dopo aver valutato e scelto. Vuole che mi confonda, vuole minare alle basi la mia integrità culturale.
Ne ho le prove.

Quella che mi propone oggi è musica finto islamica, chiaramente prodotta da un computer, ne sono certa (nessuno riuscirebbe a riproporre una sequenza così identica a se stessa di percussioni per più di 20 minuti se non fosse una “intelligenza” artificiale).

Non solo. E’ musica simil-sufi. Riconosco l’orchestra tipica della cerimonia del risveglio.
No! Musica sacrale a 70 dB non posso sopportarlo!

Mi colpisce nello stomaco.

Dopo anni buttati a studiare il canto rituale non posso ritrovarmelo all’ora dell’aperitivo, proprio mentre cerco un po’ di pace. E poi con quella voce femminile insopportabile  che si intromette a casaccio, suadente e melismatica. Io che aborro il melisma!

Chi dice a questo anonimo gestore di intrattenimento che il melisma sia gradito alla clientela?

Fa radical-chic secondo lui? Si adatta a un popolo di intellettuali milanesi in cerca di spiritualità?

 

Gli altri non si agitano

Mi siedo e bevo qualcosa, mi guardo intorno.

Come fanno due studenti a concentrasi, libro ed evidenziatore davanti? E quel signore che lavora a computer?

Hanno sicuramente attutato una barriera acustica attraverso un firewall neuronale.

Lo voglio anche io. Si compra?

Forse la musica la scelgono i commessi, e la propinano a tutti per non morir di noia. Forse sono loro i cultori del melisma.

Ma io non obbligo i miei pazienti a sentire i Ramones mentre visito solo perché sono cultrice dell’hard rock. Distinguo lavoro e piacere, privato e pubblico.

Osservo meglio.

Tutti sono intenti alle proprie occupazioni.

Il barista serve vino, qualcuno legge, qualcuno acquista, un gruppo di amiche si ritrae in un selfie. Ridono. Una coppia discute.

 

Nessuna di queste persone sta ascoltando la musica. La sento solo io.

Solo i miei neuroni sono attivi, solo il mio cervello si è acceso di luminarie.

Gli altri cervelli dormono, assuefatti, areattivi alle note che si rincorrono per la sala.

Coma musicale indotto!

Ecco il fine di tutto questo. Portare  la gente alla indifferenza musicale, promuovere il disamore per la musica, creare sordi di ritorno, favorire l’apatia acustica.