Silvia Magnani

Tablet, cellulari e bambini

Non tutti sono consapevoli dei problemi correlati all’uso indiscriminato degli strumenti elettronici nella prima infanzia. Un articolo recentemente pubblicato (leggi di più sul sito della società italiana di pediatria) ne illustra i rischi per lo sviluppo cognitivo, comunicativo e comportamentale e  l’effetto sul ritmo sonno veglia e sull’attenzione.

Al di là dell’articolo in sé (leggilo in originale) sono interessata a una discussione su come l’educazione famigliare possa non accorgersi delle conseguenze che il costante utilizzo di una stimolazione visiva e uditiva possa avere su un piccolissimo e su quali siano i motivi di una sovraesposizione sistematica.

Ciò che faccio io lo puoi fare tu

Una delle prime ragioni che mi vengono in mente per  la dipendenza dallo schermo che coinvolge alcune famiglie è l’uso che del cellulare fa il genitore stesso, uso illimitato e del tutto invasivo nella vita domestica. Capita nel mio studio che, mentre sto raccogliendo l’anamnesi dalla madre di un piccolino, il padre non cessi di guardare il proprio telefonino. Capita che, mentre eseguo una laringoscopia a un preadolescente, il genitore se ne stia alla scrivania a controllare le mail.

La ragione è sicuramente l’attrazione cognitiva che esercita la connessione col “mondo di fuori”, attrazione talmente violenta da far dimenticare il ruolo e le ragioni della visita.

Chi non si accorge del proprio asservimento a un cellulare raramente sa porre limiti all’uso che ne fa il figlio, anche se le dipendenze sono di natura diversa.

L’adulto si fa schiavo di una chat interattiva, di uno scorrere di notizie sullo streaming. In ogni caso è una dipendenza, che pur nella sua anomalia, è di tipo comunicativo (voglio dialogare, voglio sapere).

Il bimbo dipende da un gioco o da una successione di immagini filmiche, che niente apportano di nuovo alle sue conoscenze, e che spesso lui vuole continuamente riproposte.  E più il livello cognitivo è basso, più ripetitiva, rituale, manieristica è la visione, sino al loop compulsivo.

Ti concedo il piacere che io stesso mi concedo

Mi pare una ragione più forte. Se ritengo che un cibo sia buono lo offro a mio figlio. Se penso che una attività sia piacevole la propongo. Certo dobbiamo presupporre una incapacità di discernimento tra ciò che è adatto a un adulto e ciò che lo è a un bambino ma è comprensibile, visto l’impoverimento culturale che ci opprime e ci fa trovare bello e interessante solo il prodotto artificiale preconfezionato.

Ti distraggo per poter controllare il tuo comportamento

Il numero di bambini che mangia con un distrattore è altissimo. Imboccare il figlio mentre gli si propone un film su tablet è una consuetudine che spesso i genitori riferiscono.

Alla base di un tale comportamento c’è forse l’incapacità di cogliere le valenze dell’atto alimentare. Far mangiare un bimbo proponendogli un filmato svilisce il cibo, non riconosce la valenza comunicativa del mettersi a tavola insieme e gli impedisce di apprezzare l’alimentazione in tutti i suoi multiformi aspetti, dalla visione alla  deglutizione.

In senso più ampio, e questo vale anche per l’adulto, chi fa questo limita la libertà  di scegliere ciò che è appetibile e gradevole e  di rifiutare ciò che meno soddisfa il gusto. Impedisce ai suoi albori la nascita del pensiero critico.

Non so parlare con te

Anche se pare una estremizzazione, molti adulti utilizzano il device elettronico come sostituto della relazione.

Un bambino intento a osservare uno schermo non disturba, non si inserisce, rimane tranquillo per molti minuti, permettendo di fare altro, permettendo di sottrarsi alla relazione.

Conversare con i piccoli, elemento basilare dell’apprendimento linguistico e comportamentale, pesa sempre di più agli adulti.

Viviamo in una società che evita il contatto diretto. Essere presenti nella relazione interpersonale è un esporsi. Molto più facile scrivere in chat o per mail che spiegare a viso aperto i propri sentimenti o giustificare delle decisioni.

A sottrarsi alla relazione si inizia da piccoli, perché un adulto non ci ritiene abbastanza interessanti per meritare le sue parole, così che alla fine noi riteniamo poco interessante lui.