Silvia Magnani

Cura e Terapia

Cura è un vocabolo di grande rilevanza per il vasto uso che se ne fa nelle più diverse accezioni. Mi sembra quindi il caso di parlare del suo significato e di differenziarlo così da un altro termine, a volte erroneamente considerato sinonimo: terapia.

 

La Cura

La parole Cura deriva dal latino Cura, termine che stava a significare la mescolanza di preoccupazione e di sollecitudine che si prova nei confronti di un oggetto di affezione.

Il termine  partecipa quindi all’ambito semantico degli affetti, nel senso più vasto possibile, dall’amore per una persona alla attrazione carica di sentimento verso una attività, un ambito del sapere e dell’agire.

Orazio, con la frase “Post equitem sedet atra cura” ne dava però una interpretazione più complessa.
Egli infatti, ammonendo il cavaliere che corre da un’occupazione a un’altra sempre affannato, affermava:  “la nera cura ti siede dietro”,  a intendere che la responsabilità verso ciò di cui ci occupiamo non ci lascia una volta terminato il compito,  ma siede alle nostre spalle anche quando cavalchiamo via per dedicarci a una nuova occupazione.

Con quell’atra (nera) Orazio ci richiama a una ulteriore responsabilità, portando il termine Cura a  significare una sollecitudine affettiva responsabilizzante.

 

Di chi è propria la cura?

La Cura è per sua natura implicita in tutte le azioni degli uomini. Di tutto ciò che facciamo siamo responsabili e a tutto dobbiamo sollecitudine.

Ma per quella sua specifica connotazione affettiva, Cura è per noi qualcosa di più. Essa è ciò che dobbiamo a coloro e alle cose cui teniamo in modo particolare. Ecco così comprensibili le locuzioni: aver cura della casa, curare i bambini, aver cura di sé, curare gli affari, curare le piante, ecc.

Ho cura di tutte le persone e le cose alle quali tengo.

Le professioni che trovano nella Cura la propria connotazione qualificante sono quelle che, per statuto, hanno come fine il bene dell’altro. Tra esse le più rilevanti sono il medico e l’insegnante.

I bioeticisti Pellegrino e Thomasma ritengono che le sole attività lavorative degne del nome di “professioni” sono proprio le “professioni della cura”, annoverando, oltre alle due  citate, il consigliere spirituale e l’avvocato, in quanto rispondenti a una esigenza primaria dell’uomo:  il bisogno di spiritualità e il bisogno di giustizia, così come la medicina risponde al bisogno di salute e l’insegnamento al bisogno di conoscenza.

Facendo mio il pensiero di questi maestri considero la Cura non solo una modalità di approccio sollecito alle persone e alle cose ma addirittura la risposta doverosa a una esigenza costitutiva dell’umano (e della natura, animale e vegetale)

 

La Terapia

La parola terapia deriva dal greco ϑεραπεία (therapeia). Essa nella accezione corrente sta a indicare tutto il complesso processo messo in atto, dopo la diagnosi, per riportare in stato di salute il soggetto o per alleviarne il dolore e sostenerlo, quando l’obiettivo guarigione sia irrealistico.

Terapia riveste quindi un significato più ristretto della parola Cura e ne rappresenta una accezione particolare, afferente all’ambito clinico.

Ippocrate ne identificava gli strumenti nel tocco (arte del manipolare), nel farmaco (capacità di prescrizione di sostanze) e nella parola (discorso che guarisce)

E’ evidente che Terapia può aversi solo nell’ambito delle professioni sanitarie, intendo in esse anche la psicoterapia, e può essere esercitata solo da clinici, con i mezzi ritenuti più opportuni, siano essi medicamentosi, fisici o altri, andando dalla farmacologia classica, alla chirurgia, alla ippoterapia.

 

Insegnanti e logopedisti quindi in ambito vocale, condividono a pieno diritto l’atto del curare, cioè dell’aver cura in senso di sollecitudine responsabilizzante ma solo i sanitari possono prestare opera di terapeuti.

Facendo mie le indicazioni di Ippocrate ritengo che la manipolazione (il tocco, nella sua accezione terapeutica e non solo diagnostica) e la parola che guarisce e sostiene (la psicoterapia, il counseling mirato) siano specifici ambiti della clinica. Evidente che per esercitarli occorrano competenze maturate in ambito medico in quanto l’oggetto sul quale esse si applicano è l’uomo sofferente, ben diversamente da quando, dopo aver seminato e coltivato una pianta, distribuisco sulle foglie l’antiparassitario, operazioni per le quali sono sufficienti una buona conoscenza dell’argomento e una discreta pratica di floricoltura. E’ la diversità dell’oggetto che fa dell’atto medico azione carica di responsabilità e necessitate massima preparazione.