Silvia Magnani

La voce del paziente disartrico

da | 05 Ottobre 2017 | Articoli, Età adulta, Neurologia

Oltre alla capacità di produrre correttamente il linguaggio, il paziente disartrico perde la possibilità di governare la propria voce, non solo nel parametro intensità ma nella resa prosodica, (sia in senso ritmico sia in senso propriamente melodico) e nella adattabilità prossemica (capacità di variare l’intensità in relazione alla distanza dell’interlocutore).

 

La prosodia trasmette il contenuto di pensiero

Tutto il nostro pensiero, le nostre emozioni, al di là del mero contenuto digitale di quanto diciamo (le parole, nude e crude), è reso da quelle minime variazioni di volume e frequenza disposte in sequenza significativa che fanno del nostro linguaggio il suono della mente.

La qualità stessa delle relazioni, il grado di intimità di esse sono testimoniati dalla variabilità di intensità della voce e di stress della fonoarticolazione che avvicina o distanzia.

 

Perché non basta lavorare solo sulla fonoarticolazione?

Questo aspetto della disartria è stato trascurato in nome di eserciziari volti principalmente alla correzione delle posture fonoarticolatorie.

La ragione è dovuta al privilegio di cui ha sempre goduto  la produzione linguistica nella nostra società, la quale considera l’espressione vocale un supporto, una modalità di veicolare la parola ma non l’espressione primaria dell’individuo.

Un’ulteriore ragione dello scarso interesse clinico nei confronti  della voce in caso di patologia neurologica è il ritenere che il deficit vocale del paziente sia un elemento nosologico accessorio della disartria, intesa come deficit di origine senso-motoria dei movimenti articolatori, ed evolva con la terapia attuata sugli organi della fonoarticolazione migliorando di pari passo con l’intelligibilità.

La disfonia disartrica è invece un evento di massimo rilievo anche se  conseguenza delle medesime noxe patogene. Come tale necessità di una logopedia specifica.

 

Da cosa è composto il progetto vocale?

Gli elementi che costituiscono, nel loro succedersi coerente, la vocalizzazione sono almeno tre: la capacità di gestire il mantice, la capacità di correlare il mantice all’apparato vibrante, la capacità di filtrare (cioè amplificare) in modo adeguato il segnale prodotto.

La malattia produce una o più degli effetti indicati a seguito.

  • Impedisce al paziente di coordinare la presa aerea a una adeguata abduzione cordale e, successivamente, l’espirazione all’adduzione prefonatoria. Conseguenza del primo evento è la presenza di inspirazioni rumorose, intempestive, che possono interrompere addirittura una frase in atto. Conseguenza del secondo è l’incoordinazione pneumofonica con esordio di frase in corso di espirazione.
  • Rende impossibile alla muscolatura laringea sia la gestione rapida ed efficace delle resistenze opposte dalle corde vocali al flusso aereo, sia dell’assetto glottico (spessore e lunghezza delle corde e qualità del contatto bordo a bordo), così che intensità e frequenza non si modificano con quella rapidità che il progetto comunicativo richiederebbe. Il deficit prosodico è inevitabile.
  • Produce alterazioni profonde della motricità linguale e velare le quali alterano la resa risonanziale e impedisce al vocal tract stesso di adattarsi morfologicamente per ottenere un filtraggio ottimale, con perdita addirittura della “riconoscibilità vocale” del paziente per incapacità a mantenere l’habitus fonatorio.

Infine l’alterazione ritmica dell’espressione linguistica frammenta,  prolunga, trascina la voce così difficilmente prodotta, avvilendo il soggetto nel proprio sforzo comunicativo e vanificando ulteriormente il progetto prassico.

La sofferenza che accompagna la disartria non è quindi solo legata all’impossibilità di far intendere ciò che si sta dicendo (deficit di intelligibilità) ma alla incapacità di  far comprendere ciò che si prova