Silvia Magnani

La sofferenza del disartrico

da | 19 Novembre 2020 | Articoli, Età adulta, Neurologia

La privazione maggiore che subisce un soggetto disartrico non è la perdita di intelligibilità dello speech ma la impossibilità di esprimere le proprie emozioni attraverso la parola.

Il contenuto della comunicazione orale non si limita a ciò che potremmo anche scrivere su un foglio, un tablet, un comunicatore. Esso deborda da qualsiasi strumento di scrittura si possa interfacciare con la  disabilità e rimane, in mancanza della voce, inevitabilmente in parte inespresso.

Perché la disartria è una “sofferenza vocale”

Oltre alla capacità di produrre correttamente il linguaggio, il paziente disartrico perde la possibilità di governare la propria voce. E non solo nel parametro intensità (pensiamo alle ipofonie che accompagnano le malattie mielodegenerative) ma nella resa prosodica, sia in senso ritmico (il malato cerebellare scandisce, il portatore di sofferenza pontina rallenta e sfuma le sillabe con vocalizzazioni che accompagnano le transizioni consonantiche) sia in senso propriamente musicale.

Tutto il nostro pensiero, le nostre emozioni, al di là del mero contenuto digitale di quanto diciamo (le parole, nude e crude), è reso da quelle minime variazioni di volume e frequenza disposte in sequenza significativa che fanno del nostro linguaggio il suono della mente.

Spesso mi sono chiesta se questo aspetto della disartria sia stato trascurato in nome di eserciziari volti solo alla correzione delle posture fonoarticolatorie. La risposta, nel  vedere le valutazioni che accompagnano e segnano le storie cliniche dei miei pazienti, è affermativa.
La ragione di questo,  a mio parere, è dovuta al privilegio di cui ha sempre goduto  la produzione linguistica nella nostra società, la quale considera l’espressione vocale un supporto, una modalità di veicolare la parola ma non l’espressione primaria dell’individuo.

Un’ulteriore ragione dello scarso interesse clinico nei confronti  della voce in caso di patologia neurologica è il ritenere che il deficit vocale del paziente disartrico sia un elemento nosologico tipico della disartria, intesa come deficit di origine senso-motoria dei movimenti articolatori, ed evolva con la terapia di pari passo con l’intelligibilità. Da disfonia disartrica è invece un evento associato, conseguenza delle medesime noxe patogene, ma di tipo disprassico, nel senso proprio del termine: perdita della capacità di portare a buon fine un progetto motorio. Come tale necessità di una logopedia specifica.

Da cosa è composto il progetto vocale?

Gli elementi che costituiscono, nel loro succedersi coerente, la vocalizzazione sono almeno tre: la capacità di gestire il mantice, la capacità di correlare il mantice all’apparato vibrante, la capacità di filtrare in modo adeguato il segnale prodotto.

Cosa perde il soggetto disartrico?

La malattia

  1. impedisce al paziente di coordinare la presa aerea a una adeguata abduzione cordale e, successivamente, l’espirazione all’adduzione prefonatoria;
  2. rende impossibile alla muscolatura laringea sia la gestione rapida ed efficace delle resistenze opposte dalle corde vocali al flusso aereo, sia l’assetto glottico (spessore e lunghezza delle corde e qualità del contatto bordo a bordo), così che intensità e frequenza non si modificano con quella rapidità che il progetto comunicativo richiederebbe;
  3. produce alterazioni profonde della motricità linguale le quali alterano la resa risonanziale e impedisce al vocal tract stesso di adattarsi morfologicamente per ottenere un filtraggio ottimale.

Infine l’alterazione ritmica dell’espressione linguistica frammenta,  prolunga, trascina la voce così difficilmente prodotta, avvilendo il soggetto nel proprio sforzo comunicativo e vanificando ulteriormente il progetto prassico.

La sofferenza che accompagna la disartria non è quindi solo legata alla impossibilità di far intendere ciò che si sta dicendo (deficit di intelligibilità) ma alla incapacità di  far comprendere ciò che si prova.