Silvia Magnani

Insegnare a parlare, insegnare a tacere

Siamo abituati a pensare che insegnare a parlare sia un compito al quale la madre, e la società con lei, assolve senza neppure averne coscienza. I nostri figli, avvolti dalle parole del quotidiano, piano piano trasformano la lallazione in elementi bisillabici e quelli in parole, impadronendosi di un vocabolario sempre più complesso (anche se prodotto in modo non del tutto intelligibile) che organizzano in frasi.

Nostro figlio sa parlare, nel vero senso della parola, molto prima di imparare a “dire bene” . Gli elementi della frase appaiono infatti evidenti, al loro posto e nel ruolo corretto, già da età molto precoci.

La competenza morfosintattica è non solo più precoce di quella fonologica ma molto più essenziale. Noi capiamo il linguaggio infatti non attraverso un’operazione di decifrazione dei singoli elementi ma per la relazione che essi assumono tra loro e, ancor prima, in modo globale, cioè contestuale e pragmatico, cogliendo la prosodia, collegandola al gesto e all’espressione, interpretando la postura e la modalità di abitare lo spazio.

I bimbi che parlano e non si capisce niente

La riflessione che qui condivido riguarda i piccoli a scarsa o assente intelligibilità dell’eloquio che osservo nel mio studio. Vengo chiamata a valutarne le abilità prassiche orali, per capire quanto la scarsa comprensibilità di ciò che producono sia dovuta a un problema di organizzazione e produzione del “gesto” fonatorio.

Indipendentemente dalle competenze che dimostrano, essi possono venire divisi in due categorie, già evidenti al primo incontro: coloro che pronunciano male e parlano poco e coloro che pronunciano male e parlano tanto. Sono, questi secondi, i bimbi definiti produttivi, quelli nei quali riconosciamo una urgenza di esprimersi che supera la consapevolezza di non essere compresi. Questi piccoli, se sono già abbastanza grandini, intendo oltre i 42 mesi, sono già in terapia logopedica e vengono più che per una diagnosi per una supervisione. E’ per alcuni di loro che mi preoccupo. La storia è spesso simile: lallazione limitata, prime parole molto tardi, diagnosi di ritardo di linguaggio, terapia logopedica e counselling famigliare per favorirne lo sviluppo, esordio rapido di una produttività inaspettata ma poco comprensibile.

Stili di comportamento da valutare

La comparsa di una produzione linguistica abbondante ma a scarsissima intelligibilità preoccupa solo marginalmente il genitore. Rispetto a un bimbo che a mala pena diceva mamma e papà, questo piccolo che parla a macchinetta è una consolazione.

Durante la visita vocifera continuamente, interloquisce, interrompe il dialogo tra me e i genitori, borbotta nel gioco solitario, la sua voce, senza interruzione, riempie la stanza.

A un’osservazione più approfondita si nota in lui una sorta di impermeabilità alla voce del genitore che lo interroga, propone un gioco, cerca un contatto. La spinta comunicativa è forte, non ci sono tratti autistici evidenti, il bimbo si avvicina, strattona per ottenere l’attenzione, pronuncia qualche frase, spesso a voce intensa, richiede l’attenzione. Eppure qualcosa non quadra.

Una volta attratti gli occhi della madre sul gioco esibito e sull’oggetto mostrato con la manina, non si ferma ad attendere la risposta, non sollecita una reazione di rimando. Riparte a vagare per la stanza.

Non è un problema di attenzione….

Verrebbe da pensare a un disturbo dell’attenzione, ma non è così, il bimbo gioca a lungo con ciò che trova nello studio, esplora le costruzioni, si ferma a disegnare a tavolino. Dimostra interesse per ciò che sta facendo e non affastella attività incompiute.

Cosa ha questo bimbo? Un linguaggio inintelligibile, certo. Non possiede un repertorio fonologico completo, anche se dimostra una certa competenza morfosintattica, vero.

Il vero problema, ciò che rappresenta lo scoglio principale nel progredire dello sviluppo del linguaggio, è il non sapere stare zitto. La sua stessa produttività lo stordisce, lo rende sordo al discorso dell’altro. Questo bimbo ha, oltre che un problema espressivo, una carenza nella capacità di turnazione,. Siamo completamente fuori strada se perseguiamo una logopedia che abbia come finalità solo l’aspetto prassico orale e la conquista dei fonemi. Questo bambino deve imparare a tacere.

Insegnare a tacere, insegnare a rispettare i turni

Spesso confondiamo l’insegnamento del linguaggio con l’insegnamento della parte produttiva di esso. Padronanza del linguaggio è anche capacità di fermarsi ad ascoltare il suono di ciò che viene detto, a osservare la bocca di chi parla per imitarne il movimento, per collegare ciò che si vede a ciò che si sente. Per far questo occorre fermarsi, tacere e guardare.

I bambini produttivi non intellegibili non hanno solo bisogno di imparare i movimenti della bocca atti a produrre i fonemi, non devono solo acquisire il repertorio fonologico. Essi hanno avuto accesso alla comunicazione per parole solo nella modalità primitiva, quella globale e pragmatica, non sono in grado di coglierne i tratti distintivi. Per far questo devono inibire la loro attitudine alla “iperattività linguistica” per fermarsi ad ascoltare.

Per questi piccoli la terapia deve operare un svolta, così come deve essere cambiato il contenuto del counselling ai genitori.

Dobbiamo favorire il silenzio e l’osservazione.

Cosa può aiutarci?

La strada è lunga e complessa. Certamente non favoriremo il silenzio tacendo noi, saremmo sopraffatti dal fluire dell’eloquio del bambino.

Il silenzio si favorisce con gli strumenti opposti: la voce a bassa intensità, le frasi brevi, il timing rallentato, oltre che con stili di comportamento comunicativo virtuosi.

In relazione alla personalità del bimbo potremo usare l’apprezzamento di pause, nel gioco e nelle normali attività, nelle quali si attende che si avveri un evento, il richiamo (gestuale!) all’ascolto di una fonte di suono, l’uso del contatto corporeo, carezze lente, rassicuranti, in grado di portare l’attenzione del bambino sulla propriocezione.

Poiché infine l’incompetenza nel rispettare i turni è uno degli elementi causali del disturbo, ogni attività nel gioco o nel quotidiano, che preveda la turnazione e il freno dell’impulsività è da favorire sopra ogni altra.