Preparando il corso Medical Humanities l’inverno scorso mi sono a lungo interrogata sulle origini della medicina. Ho studiato gli Asclepiadi, riletto il mito di Edipo e infine sono arrivata alla scuola ippocratica. Nell’abbandono della convinzione che la malattia fosse espressione del castigo del dio per un male compiuto e nell’attenzione al corpo e alle cause naturali di patologia ho pensato di trovare le origini della mia arte.
Anche se questa visione è condivisibile ed è quella che ho fornito ai miei allievi, l’immagine del Giovane Principe delle Arene Candide, non smette di sorprendermi
Poiché questo ragazzo morto 23.000 anni fa è conservato nel museo archeologico di Pegli, non lontano da casa, sabato sono andata a vederlo, anzi, per l’emozione che ho provato, posso dire di essere andata a dargli onore.
Il Principe, ucciso a 15 anni da un grande animale forse in una battuta di caccia, se ne sta appena ruotato sul lato sinistro, nella mano destra una lama lunga 20 cm. Accanto a lui sono disposti quattro corti bastoni, ricavati da corna animali e finemente incisi.
Sul capo, nel mio immaginario la mano di una madre, gli ha posto una calottina ornata da infinite conchiglie e accanto ciondoli ricavati da avorio di mammut. Un orso delle caverne o forse un leone gli ha sbranato la spalla sinistra e strappato mezza mandibola ma qualcuno, componendolo nel sonno, con ocra gialla gli ha ricostruito la parte del viso mancante.
Su questo mi fermo a interrogarmi.
La Medicina nasce quando si abbandona la credenza della malattia come punizione del dio e, invece di compiere sacrifici, ci si rivolge al corpo del malato o piuttosto, come penso guardando il Principe delle Arene Candide, quando sul corpo ci si china pietosi e lo si ricompone, tentando di riportarlo all’integrità passata, sia esso vivo o appena morto?
Il Principe non è stato fornito di un corredo funerario che gli rendesse possibile continuare a vivere in un ipotetico al di là, il corpo non è stato mummificato, eviscerato e imbalsamato come nella ritualità egizia. Qui una mano gli ha ricostruito il viso non per gusto estetico ma per quello che è alla base della Medicina: riparare il corpo. E’ qualcosa che supera la cura che si dà al defunto, è un atto di restituzione della integrità. Ciò che dalle origini fa il medico.
La foto è è mia.