Silvia Magnani

Iperfunzione o malmenage vocale?

Il malmenage vocale  è spesso considerato erroneamente l’unica eziologia delle disfonie funzionali. Ci si dimentica infatti che la gran parte delle “brutte voci” che si incontrano nel quotidiano sono un esito soltanto di un loro uso iperfunzionale, secondario a un fraintendimento di quanto si può fare con la voce e di sino a quanto la si può spingere asservendola alle  esigenze comunicative.

 

Iperfunzione

Per definire una modalità di utilizzo della voce come iperfunzionale occorre conoscere cosa si intende per comunicazione “funzionale”, cioè adatta alle nostre possibilità fisiologiche e insieme prodotta a costi sostenibili ed efficace. Tre quindi i punti sui quali riflettere.

1. Una comunicazione rispettosa del nostro corpo è quella che non ci mette a rischio di malattia, che considera  quelle che sono le nostre caratteristiche biologiche e ne comprende le fragilità (ad esempio una tendenza edemigena delle corde vocali mal coniugabile alla messa in atto abituale di alte pressioni sottoglottiche).

2. Una comunicazione prodotta a costi sostenibili è, per definizione, una modalità di interazione che si avverte come quotidianamente ripetibile.

3. Una comunicazione  efficace è quella in grado di fornire il maggior numero di informazioni possibili nel minor tempo di esposizione. E questo è realizzabile solo se un alto numero di canali comunicativi è attivato contemporaneamente.

 

Cosa è un canale comunicativo?

Un canale comunicativo è tutto ciò che unisce un organo effettore di comunicazione a un ricevente. Esempi ne sono  il canale grafico-gestuale/visivo, il canale secretivo/olfattivo, il gestuale/tattile-propriocettivo e, naturalmente, il verbale-fonatorio/uditivo.

Una comunicazione vocale funzionale è quella che ci permette, mentre parliamo, di raccogliere il maggior numero di informazioni possibili contemporaneamente provenienti da altri canali  attivati, così da implementare la nostra conoscenza del pensiero dell’interlocutore attraverso e oltre le sue parole.

Ciò equivale a vedere in viso chi sta parlando (così da coglierne le espressioni mimiche, la micro e la macro gestualità e, in situazioni specifiche, da avvertire odori, da subire pressione, tocco, contatto) e, contemporaneamente, di trasmettere a nostra volta informazioni aggiuntive che possano sommarsi a quanto detto mediante i medesimi canali.

Questo è reso possibile solo in una condivisione di spazio e di tempo, cioè in una comunicazione attuata in condizioni di vicinanza, nella quale sia possibile l’interazione mediata dallo sguardo.

Comunicare stando vicini, guardandosi, non solo permette di comprendere testo e sottotesto (mediato spesso dal non verbale) ma consente a chi sta comunicando di monitorare le nostre risposte, le nostre reazioni, di cogliere per tempo il legittimo desiderio di interloquire, per dare il nostro contributo al dialogo.

Funzionale è una comunicazione vocale che mi permetta uno scambio effettivo non solo di informazioni mediate da parole ma da tutto ciò che alle parole si accompagna, da un rossore del viso a un cambio di postura.

In senso prossemico potremmo dire che una comunicazione vocale funzionale si avvera a una distanza tra i partner che può andare dal contatto intimo alla distanza tipica del colloquio interpersonale (50-150 cm. a 3 metri)

 

Pubblico e privato

Oltre i 3 metri la comunicazione da interpersonale si fa pubblica. L’orizzonte visivo del parlante si amplia a comprendere più persone (tante più, quanto più la loro distanza aumenta), sino a espandersi a un uditorio, un gruppo, una piazza affollata. Sino al perdersi della riconoscibilità dell’interlocutore che, dopo essersi moltiplicato nei tanti, e in questo reso plurimo, si riunisce nel tutto unitario anonimo della folla.

Ma la voce umana non è fatta per questo, è fatta per la conversazione, perché l’uomo è racconto di sé nell’ascolto dell’altro e nella comprensione effettiva dei significati del reciproco agire.

Una voce simile non è mai urlata (perché dedicata all’individuo che ci sta davanti), non è mai gridata (perché non vuole essere aggressiva e allontanante nella sua acuta frequenza).

L’uso funzionale della voce è un uso in vicinanza, a intensità moderata.

 

Il timing

Ma questo non basta. Accanto alla necessità di una comunicazione pluricanale, finalizzata alla completa espressione delle  intenzioni, è necessario che a nostra volta si possa accogliere l’altro, lasciargli spazio.

Ma come è possibile accogliere se non “lasciando tempo”?

La comunicazione vocale funzionale è una comunicazione che accetta di interrompersi. Che ama il silenzio del parlante nel quale la voce dell’ascoltatore si possa fare strada e, nella voce e con la voce, le intenzioni, i sentimenti, i desideri si manifestino.

Cosa è la comunicazione se non scambio e tessitura di reti? Che implementazione del mio sapere, della vita e del mondo, avrei se fossi solo io il parlante?

La sapiente gestione del silenzio è la seconda condizione di un uso funzionale della voce.

Accelerare, parlare velocemente, per frasi troppo lunghe, affatica cognitivamente l’ascoltatore e non lascia spazio alla replica, impoverendo il parlante che, pensando di dialogare, ascolta e conferma solo se stesso.

 

Diviene ora facile capire cosa intendere per iperfunzione.

Con questo termine ci riferiamo al parlare troppo, troppo a lungo, troppo veloce, troppo intenso, troppo acuto.

Ciò non ha nulla a che fare col “parlar male”, col malmenage che spesso viene invocato come unica causa della disfonia.

La patologia, nel quotidiano, non deriva solo da modalità alterate in senso qualitativo di produzione della voce.

Deriva dal non riconoscimento delle funzioni primarie della comunicazione vocale: creare e mantenere i legami, attrarre e non respingere, rispettare e lasciar spazio, sapere quando tacere e quando parlare e, parlando, ricercare lo sguardo, comprendere i gesti, leggere il viso.